La scuola Berni
A cura di Cesare Francois
Tra i tanti insegnamenti ricevuti dal Professore per me è stato basilare il concetto di non perdere mai tempo: al momento in cui si pensa di aver inquadrato il problema clinico, va fatto un piano diagnostico mirato e subito vanno eseguiti gli esami ritenuti fondamentali. Non era corretto redigere una richiesta di una diagnostica importante ed aspettare che procedesse per le vie usuali, bisognava portarla prima possibile personalmente ed al consulente che veniva ritenuto di maggior competenza (si diceva che andava sponsorizzata).
Anche le risposte non si dovevano aspettare ma andavano procurate, ricercate, rincorse e non ci si doveva mai accontentare della risposta orale perché, non di rado, quella scritta poteva risultare diversa.
Infine questa concentrazione dei tempi è stata una delle caratteristiche ereditata da quasi tutti gli allievi del Professore che è servita per arrivare quanto prima alla corretta conclusione diagnostica.
È stato un comportamento utile al paziente ed alla nostra soddisfazione che non aveva nulla a che spartire con la frettolosità imposta in seguito solo da motivi economico-organizzativi.
Quando poi si otteneva il referto scritto dell’esame, si valutava e si cercava di interpretarlo in base al resto della clinica e se ne ragionava tra noi aspettando poi di ascoltare l’interpretazione fatta dal Professore che, anche se magari già la conosceva, la leggeva alta voce concentratissimo, senza alzare gli occhi, col dito spesso nell’orecchio e interrompendosi solo per dirci “state zitti” quando a bassa voce commentavamo la lettura.
Una volta glielo chiesi perché leggesse ad alta voce i referti degli esami e soprattutto le risposte della diagnostica strumentale, glielo chiesi perché non faceva nulla a caso ed un motivo doveva esserci e infatti mi spiegò che gli era utile per concentrarsi su quanto leggeva e che altrimenti la lettura rischiava di essere superficiale e qualcosa sarebbe potuto sfuggire e aggiunse: “prova, vedrai che mi darai ragione”.
Ovvio che fu così e da allora è diventata anche per me un’abitudine quella di leggere i referti a voce alta.
Non molto tempo fa riguardavo, assieme ad un collega, un malloppo di esami di un suo paziente complesso e mentre si riordinavano sento che anche lui legge i risultati a voce alta, me ne meraviglio e gli chiedo come mai e mi risponde che glielo avevo insegnato io per non perdere la concentrazione nella lettura: “ecco, è la scuola Berni che si tramanda senza che neppure ce ne accorgiamo.”