Alcune brevi considerazioni sulla vaccinazione antinfluenzale
A cura del Dott. Cesare Francois
Le vaccinazioni sono tra le misure più efficaci atte a garantire quanto sancito dalla Costituzione Italiana (art. 32) e cioè sia la salvaguardia del singolo individuo malato e bisognevole di cure sia la tutela dell’individuo sano.
Le vaccinazioni rappresentano infatti uno degli interventi più efficaci e sicuri di prevenzione primaria in Sanità pubblica, giudicato secondo solo alla potabilizzazione dell’acqua, nel proteggere da alcune malattie infettive.
La prevenzione vaccinale si prefigge infatti di conferire uno stato di protezione per i soggetti sani che, per alcuni motivi epidemiologici, di salute, occupazionali o comportamentali, sono esposti al rischio di contrarre determinate infezioni, ed anche di ottenere la riduzione e, qualora possibile, l’eradicazione di alcune malattie infettive per le quali non esiste una terapia o che possano determinare gravi complicazioni.
La protezione comunitaria vaccinale, che abbiamo di recente più volte sentito evocare come “immunità di comunità, immunità di gregge o herd immunity” si ha a seguito della riduzione del numero di individui suscettibili ad una determinata patologia infettiva, dopo aver ottenuto un’elevata copertura immunitaria nella popolazione.
L’immunità di gregge la si ha in natura quando un agente patogeno dopo aver infettato una popolazione che non ha contro di lui difese non trova più individui da attaccare perché coloro che non sono deceduti hanno sviluppato delle idonee difese per contrastare l’agente infettante che quindi non avendo più a disposizione potenziali vittime si estingue esso stesso.
I rischi associati alle malattie prevenibili con le vaccinazioni sono di gran lunga superiori a quelli derivanti dal ricevere i vaccini. Tuttavia il fatto che la disponibilità di vaccini abbia ridotto nel tempo la diffusione di alcune malattie gravi e mortali, o ne abbia limitato la letalità e le sequele, o le abbia in qualche caso eliminate, ha attenuato la percezione della loro gravità, portando paradossalmente a creare problemi nella accettazione dei vaccini.
Ciò ha comportato problemi nella adeguata copertura vaccinale in diverse nazioni.
Per copertura vaccinale si intende la proporzione di soggetti vaccinati sul totale dei soggetti candidati alla vaccinazione.
La situazione delle coperture vaccinali per le vaccinazioni obbligatorie si è solitamente collocata intorno al 90-95%, arrivando anche a punte del 99%.
Nei due, tre anni precedenti l’attuale pandemia spesso le persone pensavano che le malattie infettive non potessero più rappresentare un pericolo per le popolazioni e che per le infezioni esistesse sempre una sicura terapia e che quindi le vaccinazioni con i loro possibili effetti collaterali fossero solo un inutile pericolo.
La vaccinazione antinfluenzale
Una malattia infettiva ad alta diffusione per la quale è sicuramente indicata la vaccinazione è l’influenza che è infatti un’infezione altamente contagiosa, capace di colpire sia l’uomo sia altre specie animali, rapidamente trasmissibile per via aerea.
I virus influenzali sono inoltre caratterizzati da una notevole variabilità antigenica che non permette una vaccinazione unica valevole per tutta la vita. Sia l’alta contagiosità che la variabilità antigenica rendono l’influenza una malattia non eradicabile.
Dal punto di vista epidemiologico ricordiamo che l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC che rappresenta l’emanazione europea dell’OMS), stima che in Europa (EU/EEA) ogni anno, tra novembre e aprile, si verifichino 4-50 milioni di casi sintomatici di influenza, con una percentuale che varia dall’8 al 14 % di casi gravi che richiedono la ospedalizzazione soprattutto nei soggetti a rischio (per esempio anziani, persone con patologie croniche), e un numero che va da 15.000 a 70.000 decessi correlati all’influenza pari a circa il 10% dei casi gravi (i numeri e le percentuali variano secondo le diverse stime nelle differenti aree geografiche europee).
È importante quindi individuare l’inizio dell’epidemia, la sua durata e la sua diffusione geografica e stimare anche l’incidenza delle ILI (Influenza Like Illness) che rappresentano le altre infezioni virali del periodo invernale che interessano le vie respiratorie ma solitamente di minor gravità e autolimitantesi. Inoltre, poiché i virus influenzali, come abbiamo detto, si modificano frequentemente, è importante identificare i ceppi circolanti ed è altrettanto rilevante valutare la reale efficacia clinica dei vaccini.
L’influenza si presenta clinicamente come un’infezione respiratoria acuta a esordio brusco con febbre che generalmente supera i 38 °C, accompagnata da sintomi generali come cefalea, malessere generalizzato, astenia, mialgie, sudorazione e brividi, e da sintomi respiratori come tosse, faringodinia, congestione nasale.
Prevalentemente nei bambini si possono manifestare anche sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea). Solitamente la malattia dura circa 1-2 settimane e si risolve con la guarigione.
In alcuni casi però possono verificarsi complicanze: sovrainfezioni batteriche a carico dell’apparato respiratorio (polmonite primaria e secondaria) e dell’orecchio (otite, sinusite, soprattutto nei bambini), complicanze a carico dell’apparato cardiovascolare (miocardite) e del sistema nervoso, oltre che l’aggravamento di malattie preesistenti.
In uno studio italiano su una popolazione di 6.057 soggetti per un periodo equivalente alla stagione invernale (1998-1999) le complicanze si sono verificate nel 35,1% dei pazienti (nel 57,8% tra quelli di età superiore ai 65 anni) ed erano rappresentate da bronchiti (42% dei casi), infezioni del tratto respiratorio (42%), sinusiti (9,1%), otiti (4,4%), polmoniti (3,9%).
In uno studio più recente (2017) l’età mediana dei casi gravi era 73 anni (range 0-94) e, tra i pazienti deceduti, 76 anni (20-90). L’82% dei casi gravi e il 92% dei decessi segnalati al sistema aveva almeno una patologia cronica preesistente per la quale la vaccinazione antinfluenzale viene raccomandata, ma solo il 25% era vaccinato.
Anche in molteplici altri studi, non solo italiani, sono individuate categorie di pazienti fragili che si sono mostrate a maggior rischio di sviluppare complicanze, anche fatali, e di ricovero ospedaliero.
Si tratta dei bambini sotto i 5 anni di età, delle donne in gravidanza, degli anziani sopra i 65 anni di età e dei soggetti con comorbosità croniche (malattie croniche respiratorie, cardiache, renali, epatiche, tumori, diabete mellito, abuso cronico di alcol, malnutrizione, malattie cerebrovascolari, condizioni di immunodepressione, ospedalizzazione nell’ultimo anno). Più in generale poi, si sono dimostrati a maggior rischio anche i soggetti in situazione socioeconomica svantaggiata che compromette la qualità e la tempestività dell’assistenza domiciliare.
Per quanto riguarda gli anziani sopra i 65 anni di età sono il sottogruppo con i più alti tassi di morbosità e mortalità, quindi meritevoli di misure assistenziali e preventive, quali la vaccinazione.
In una situazione critica come quella attuale quindi la fascia di età sopra i 65 ha un doppio rischio di andare incontro a gravi patologie potenzialmente letali: uno è rappresentato dal Covid-19 attualmente difficilmente prevenibile se non con misure di isolamento/distanziamento e l’altro è rappresentato dalle complicanze dell’infezione da virus influenzale che è invece fortunatamente e facilmente prevenibile con la vaccinazione specifica, disponibile.
Va inoltre ricordato che dopo la guarigione da una infezione da virus influenzale le difese dell’individuo risultano inizialmente compromesse rendendo più facile una sovrainfezione sia batterica ma anche potenzialmente da Covid-19.